Lo studioso Vinceti: "Il furto della Gioconda? Una messinscena"

"La Gioconda ammirata ogni anno da milioni di persone al Louvre e il suo furto messo a segno tra il 21 e il 22 agosto 1911 sono un grande inganno". Ne è convinto lo storico e ricercatore Silvano Vinceti che, nella ricorrenza del celebre colpo nel museo parigino 114 anni fa, ricostruisce in sintesi le sue scoperte esposte con dovizia di particolari nell'ultimo libro "La Gioconda svelata" (Susil Edizioni).
La storia raccontata da oltre un secolo è che il dipinto fu rubato dal decoratore Vincenzo Peruggia, gentiluomo e patriota, emigrato in Francia in cerca di lavoro. Ma le cose sarebbero andate diversamente. "Qualche anno fa - racconta Vinceti all'Adnkronos - ho iniziato le mie ricerche dopo essere stato contattato da Graziano Ballinari, residente a Cadero, paese del varesotto vicino a Dumenza, luogo natale di Peruggia. Questo signore mi riferì che il padre conosceva bene la moglie di Michele Lancellotti, fratello di Vincenzo, entrambi decoratori al Louvre, nati e cresciuti a Cadero. Ebbene, come testimoniato inseguito da altri anziani del paese, Peruggia fu un protagonista minore del clamoroso furto che vide come attori principali gli appartenenti a un gruppo ben organizzato: un presunto marchese Eduardo de Valfierno (di cui non si trovata traccia negli archivi di Stato di Buenos Aires in Argentina, nonostante un'intervista rilasciata con questo nome nel 1932 a un giornalista americano), il pittore e falsario francese Yves Chaurdon e i due fratelli Lancellotti. La Monna Lisa non venne nascosta a Parigi nell’appartamentino del Peruggia, ma i due fratelli trasferirono il dipinto a Cadero, dove venne occultato per più di due anni".
Interrogato dalla polizia in Francia, anche un cugino del decoratore accusato del furto affermò che il dipinto venne in possesso di Vincenzo Lancellotti. "Sempre secondo la versione del mio interlocutore - aggiunge Vinceti nell'intervista all'Adnkronos - a Firenze, dove fu ritrovata, non giunse l’opera autentica, ma una copia abilmente contraffatta”. Ecco che, così, Vinceti decide di proseguire l'indagine, acquisendo documenti originali e in parte sconosciuti negli archivi di Stato di Firenze, dove nel 1914 si tenne il processo al Peruggia. Altri documenti con gli interrogatori realizzati dalla polizia francese al personale del museo del Louvre presente il giorno del furto della Gioconda vengono acquisiti dallo staff di Vinceti a Parigi.
Dall'interrogatorio dell’ispettore francese Vignolle emergerebbero chiari elementi sulle bugie del Peruggia, comprese le testimonianze del personale presente nel Salon Carrè che contraddicono palesemente le sue dichiarazioni, sostiene Vinceti.
"L'insieme degli elementi, coniugati ad altre prove non tenute in considerazioni durante il processo - afferma sempre Vinceti - hanno portato ad una conclusione: il Peruggia, quel 21 agosto del 1911, non entrò al Louvre e non rubò la Gioconda. Il furto venne compiuto dall’interno, molto probabilmente dai fratelli Lancellotti". Un dettaglio molto interessante emerso dalle testimonianze di Graziano Ballinari e di alcuni anziani di Cadero riguarderebbe il padre dei fratelli Lancelloti. L'uomo, maresciallo della Guardia di Finanza determinato a salvaguardare il buon nome dei figli, sborsò una discreta somma a Vincenzo Peruggia perché si presentasse a Firenze con il dipinto, s'attribuisse il furto e si facesse arrestare dalle forze dell'ordine. Tra i documenti reperiti dal ricercatore negli archivi di stato di Firenze spicca la riproduzione della perizia svolta nel 1913 sull'autenticità del dipinto rubato e ritrovato.
Secondo la valutazione di alcuni esperti dell'equipe di Vinceti, l'esame condotto non fu affatto rigoroso. Così come poco rigorose furono le indagini: le evidenti impronte digitali sulla cornice del dipinto, ritrovata su un gradino di una scala interna del museo, furono cancellate da una persona operante all’interno del Louvre. Vinceti ha poi rintracciato anche una lettera firmata indirizzata al direttore degli Uffizi, giunta da Torino nel febbraio del 1914 e sfuggita a precedenti ricerche storiche. Il testo dettagliato della missiva individua in un truffatore francese l'ideatore del furto del dipinto, descrive un personaggio riconducibile al sedicente marchese de Valfierno, e cita la realizzazione di copie della Gioconda con vendita a facoltosi americani. Infine, ma non in ultimo, resta l'interrogativo più sconcertante: cosa rubarono realmente i fratelli Lancellotti? Una Gioconda dipinta da Leonardo o un falso eseguito alla perfezione? Uno di quelli realizzati dal suo allievo prediletto Gian Giacomo Caprotti, il Salai? Nel 1999 lo studioso francese Bertrand Jestaz, storico del Rinascimento italiano, ha ritrovato negli Archivi Nazionali di Parigi un accordo con la tesoreria del re di Francia Francesco I concernente la vendita nel 1518 da parte del Salai di alcuni dipinti tra cui spicca una Gioconda. Una vendita lautamente pagata dal tesoriere del re. Ma questa è un'altra storia.
(di Paolo Martini)
Adnkronos International (AKI)